PALAZZO MARINO. LA MOSTRA DI NATALE RACCONTA AI MILANESI “IL RINASCIMENTO DI BERGAMO E BRESCIA”
Dal 2 dicembre al 16 gennaio Sala Alessi sarà aperta al pubblico con ingresso libero e visite guidate gratuite
Il Comune di Milano riprende con entusiasmo l’appuntamento natalizio con l’arte a Palazzo Marino, sospeso lo scorso anno a causa della durezza della pandemia, offrendo ai milanesi una mostra che presenta ben quattro capolavori di altrettanti maestri, tra i maggiori protagonisti del Rinascimento nelle città di Bergamo e Brescia: Lorenzo Lotto, Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Giovan Girolamo Savoldo e Giovan Battista Moroni.
Attraverso le opere realizzate a Bergamo dal Lotto e quelle dei maggiori esponenti della scuola bresciana e bergamasca – Moretto, Savoldo e Moroni – la mostra “Il Rinascimento di Bergamo e Brescia”, curata da Francesco Frangi e Simone Facchinetti, con il contributo del comitato scientifico composto da Domenico Piraina, Claudio Salsi, Maria Cristina Rodeschini, Stefano Karadjov, Roberta D’Adda, James Bradburne e Maria Cristina Passoni
proporrà in un allestimento originale nella Sala Alessi le vette più spettacolari di questa stagione artistica, all’interno della quale si formerà poi il giovane Caravaggio, aprendo la strada all’arte moderna.
Dal 2 dicembre 2021 al 16 gennaio 2022 le porte di Palazzo Marino saranno aperte al pubblico per ammirare i loro capolavori, con ingresso libero e visite guidate gratuite.
La mostra vuole essere anche un omaggio a Roberto Longhi, il grande storico dell’arte scomparso cinquant’anni fa, che proprio nell’ambito dei suoi studi sul maestro milanese seppe per primo valorizzare l’originalità della tradizione bergamasca e bresciana e il suo ruolo decisivo nella genesi del realismo caravaggesco.
L’importanza di Bergamo e Brescia sulla scena artistica si sviluppa a partire dai primi decenni del Cinquecento, quando pittori forestieri e locali danno vita ad un’originale sintesi delle vie lombarde e venete, favorita anche dalla particolare posizione geografica delle due città: ultimo avamposto della Serenissima in terraferma e territorio conteso tra Milano e Venezia. Nelle due città si afferma una scuola pittorica fortemente orientata in senso realistico, in grado di rinnovare in profondità perfino l’interpretazione dei temi più consueti dell’iconografia religiosa. I personaggi di quelle vicende assumono una dimensione autentica, quotidiana, ottenuta grazie allo studio attento dei fenomeni luministici e a un linguaggio non idealizzato, teso a restituire con immediatezza la verità delle cose e degli atteggiamenti. Al Rinascimento bergamasco e bresciano si attribuisce, quindi, la statura di una “terza via” rispetto a quelle principali, dell’Italia centrale e del Veneto. La mostra “Il Rinascimento di Bergamo e Brescia” porta quindi alla ribalta una delle principali declinazioni dell’arte rinascimentale in Italia.
Patrocinata dal MIC – Ministero della Cultura, promossa dal Comune di Milano e Intesa Sanpaolo (partner istituzionale), con il sostegno di Rinascente, la mostra è coordinata da Palazzo Reale e realizzata insieme all’Accademia Carrara di Bergamo, alla Pinacoteca Tosio Martinengo – Fondazione Brescia Musei, alla Pinacoteca di Brera, in collaborazione con le Gallerie d’Italia di Piazza Scala, museo di Intesa Sanpaolo a Milano. L’organizzazione è affidata a Civita. Il catalogo è edito da Skira.
Si uniscono all’iniziativa natalizia di Palazzo Marino anche i Municipi 2, 3, 4, 7 e 8 del Comune di Milano, con un doppio dono alla collettività, per la più ampia conoscenza del patrimonio culturale cittadino, in collaborazione con la Pinacoteca del Castello Sforzesco.
La mostra è infine l’occasione per promuovere la conoscenza dei patrimoni storici e artistici di Bergamo e di Brescia.
LE OPERE
Il “Nozze mistiche di Santa Caterina d’Alessandria e Niccolò Bonghi”, proveniente dall’ Accademia Carrara di Bergamo, reca sul poggiapiedi ligneo la firma dell’artista e la data del 1523, ed è forse una delle più celebri opere eseguite da Lorenzo Lotto per la committenza privata, durante il suo periodo bergamasco. A commissionare l’opera fu il mercante Niccolò Bonghi, inserito con grande originalità nella composizione. Bonghi era proprietario della casa in cui Lotto abitava: in cambio del pagamento di un anno di affitto, aveva chiesto all’artista l’esecuzione di questo dipinto.La scena illustrata è quella dello sposalizio mistico di Santa Caterina d’Alessandria, episodio sacro durante il quale Gesù Bambino, con gesto cerimoniale, infila l’anello sull’anulare della giovane principessa rendendola simbolicamente sua sposa.Si narra che il dipinto sia stato mutilato nella parte alta da un soldato francese: una superficie grigia rettangolare è stata collocata in sostituzione di quella che doveva essere una finestra probabilmente aperta su un paesaggio con il monte Sinai. Di essa rimangono soltanto uno stipite e un davanzale da cui pendono due tappeti orientali. La tela è emblematica della personalità eccentrica di Lorenzo Lotto: spiccano le disarmonie tipiche dell’artista, le pose forzate, la prospettiva angusta e schiacciata della parete di fondo. Straordinario è l’intreccio, studiatissimo, delle mani che ci guidano al centro della scena.Maria e Caterina, dai cui volti emergono una purezza e una dolcezza infinita, sono vestite con abiti sfarzosi, traboccanti di pieghe e di brillantezza cromatica.I colori di Lotto, squillanti e contraddistinti da una gamma accentuata da forti contrasti luminosi, erano ignoti alla pittura locale – ancora permeata del gusto lombardo – fino all’arrivo dell’artista veneziano.
Il “San Nicola di Bari presenta gli allievi di Galeazzo Rovellio alla Madonna in trono con Bambino” è una delle due opere provenienti dalla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, dipinta da Alessandro Bonvicino detto il Moretto per la chiesa bresciana di Santa Maria dei Miracoli, nel 1539. Ambientato in una cornice architettonica classicheggiante, il quadro raffigura san Nicola di Bari che presenta alla Madonna in trono con il Bambino gli allievi del maestro di grammatica bresciano Galeazzo Rovellio, committente della pala. San Nicola si rivolge trepidante alla Vergine, per invocare la sua protezione sugli scolari. A sua volta la Madonna cerca di portare l’attenzione su questi ultimi del piccolo Gesù, che però non sembra volere staccare lo sguardo da lei.
I quattro bambini recano la mitria vescovile di Nicola e i simboli dei miracoli del santo, tra cui le tre sfere d’oro, ma tengono anche sottobraccio e nelle mani i loro libri di scuola. La scena devozionale viene così ad arricchirsi di un preciso rimando al reale contesto che promosse la realizzazione dell’opera: quella di una scuola bresciana del tempo, con i suoi giovani studenti raffigurati in eleganti abiti contemporanei.
Il tutto è restituito da Moretto con un linguaggio pittorico di grande naturalezza, che pur facendo proprio il colorismo prezioso di Tiziano, ne propone una declinazione originale, caratterizzata da una straordinaria capacità di descrivere i vari dettagli della realtà. Lo testimonia la definizione degli abiti dei bambini, dei quali il pittore restituisce le più dettagliate particolarità sartoriali, facendoci percepire l’esatta qualità della loro fattura. Gli studiosi hanno più volte supposto che il volto di san Nicola nascondesse quello del maestro Galeazzo, che all’epoca aveva sessantasette anni. Va detto però che la fisionomia del santo non sembra rivelare un carattere ritrattistico.
Perché fu scelta la figura di san Nicola ad occupare una posizione centrale nella pala del maestro lombardo? Il santo era considerato protettore, tra gli altri, dei fanciulli e degli studenti.
Sempre dalla Pinacoteca Tosio Martinengo proviene “L’Adorazione dei Pastori” di Giovan Girolamo Savoldo, realizzata nel 1540, un dettaglio della quale è stato scelto come immagine guida della mostra e del catalogo edito da Skira. Il dipinto era destinato in origine alla cappella di San Giuseppe della chiesa di San Barnaba a Brescia e venne commissionato da Bartolomeo Bargnani, un esponente del patriziato della città.
Appartiene all’ultima fase del pittore, caratterizzata da tonalità intense e talvolta cupe e da un uso del colore pastoso, in grado di dare particolari effetti materici che simulano il velluto. L’episodio dell’adorazione del Bambino è ambientato davanti ad una capanna fatiscente, all’interno della quale si intravedono nella penombra il bue e l’asinello.
Più dietro, come avviene in certe Natività fiamminghe del Quattrocento, due pastori si sporgono da una finestrella, mentre a sinistra un terzo pastore contempla la scena appoggiato a un muretto. La loro descrizione, dai vivi accenti quotidiani, documenta la propensione realistica di Savoldo, confermata anche dallo studio meticoloso degli effetti chiaroscurali. Significativo a questo riguardo appare il dettaglio della veste del pastore più anziano affacciato alla finestra, illuminata dai bagliori provenienti dall’apparizione dell’angelo che dà l’annuncio, nel cielo in fondo a sinistra. Si tratta di un effetto di verità ottica che avrà influenza su Caravaggio
Anche Giuseppe e Maria presentano delle caratterizzazioni semplici, quasi rustiche, suggellate dal brano delle scarpe usurate del falegname in primo piano. Le loro figure prive di aureola si dispongono simmetricamente in atteggiamento meditativo ai lati della sagoma luminosa del Bambino, che diventa così il perno compositivo dell’opera, grazie anche alla luce intensa riverberata dal lenzuolo bianco su cui è disteso.
Dalla Pinacoteca di Brera proviene la “Madonna col Bambino e i santi Caterina d’Alessandria, Francesco e l’offerente” (1555 circa) di Giovan Battista Moroni. Dipinta per la chiesa di sant’Alessandro in Captura a Bergamo è tra le prime prove di una formula iconografica che diventerà caratteristica dell’artista. Ovvero quella del ritratto devoto che prega di fronte a una scena sacra. In questo caso il personaggio è ritratto in modo molto naturalistico e occupa una posizione che ce lo fa immaginare in ginocchio, oltre il confine dettato da una balaustra. Tutta la sua attenzione è rivolta alla figura del Gesù Bambino, intento a sugellare il matrimonio mistico con Santa Caterina tramite il dono di una rosa. Lo sguardo severo di San Francesco d’Assisi – intento ad esibire una croce – richiama l’attenzione dell’osservatore.
Qui Moroni torna a riflettere su un modello del suo maestro Moretto, aggiornato in una chiave manierista. L’opera è stata realizzata poco prima del 1555, un periodo che coincide con il definitivo rientro in patria del pittore bergamasco, diviso negli anni precedenti tra la città di Brescia e quella di Trento.
LE MOSTRE NEI MUNICIPI
Il “Ritratto di Giorgio Passo” (1569), di Giovanni Battista Moroni è il primo dei tre capolavori della Pinacoteca del Castello Sforzesco che saranno esposti nei 5 Municipi milanesi. Il dipinto ha curiosamente dato origine a una serie di equivoci, perché nella trascrizione del documento, nel XIX secolo, “Passo” veniva letto come “Tasso” e si pensò, erroneamente, al filosofo Ercole Tasso. Solo nel 1981 il mistero trovò soluzione grazie allo studioso Alberto Bellotti: il giovane nobile che punta l’indice per chiedere attenzione è in effetti Giorgio Passo Preposulo, un giurista che ricoprì importanti cariche pubbliche nella sua città, Bergamo, a cui era molto legato. Come peraltro l’autore del quadro, il Moroni, originario di Albino e formato nella bottega del Moretto, che fu attivissimo a Bergamo e a Brescia, dipingendo sia ritratti che opere sacre.
La seconda opera, sempre proveniente dalle Civiche Raccolte Artistiche del Castello Sforzesco, è un’altra tela di Giovanni Battista Moroni, il “Ritratto di Bartolomeo Colleoni”, dipinto tra il 1566 ed il 1569. Come nelle impostazioni medaglistiche, di profilo è a mezzo busto e il condottiero Bartolomeo Colleoni veste la sua corazza a capo scoperto. Sotto di lui, in caratteri epigrafici, non c’è solo il suo nome ma anche la provenienza: Bergamo. Oltre al ritratto esiste un’incisione, cui forse il dipinto servì da modello, oltre ad una terza versione di proprietà dell’avvocato bergamasco Paolo Bisetti. Questa è un’opera chiave del Moroni per il tentativo di naturalizzare e umanizzare il rigido profilo quattrocentesco, tipico di questo genere di dipinti. E lo fa attraverso una stesura sensibile, densa di riflessi, attenta alla luce e alle espressioni, specchio della statura morale dell’illustre condottiero immortalato.
Il terzo dipinto è il “Ritratto di R.A. Torre”. Il personaggio è un conte, il conte Torre Tassis all’età di 82 anni. Nel quadro compare un’insegna araldica corrispondente alla famiglia dei Toriani, il cui ramo bergamasco era noto come “Della Torre” o “Torre Cortesi”. Ma la particolarità del quadro risiede nel “togliere”: non vi è intento celebrativo o retorico alcuno. Ormai calvo e anziano, il conte si presenta in un piano ravvicinato e ciò rende l’analisi sul suo volto molto affascinante: è rischiarato da una luce morbida e lenta che batte sulla fronte e ci permette di indagare minuziosamente i suoi particolari fisionomici. L’autore è ignoto, ma appartiene alla cerchia dei bergamaschi operanti nel tardo Cinquecento e l’opera è stata dipinta tra il 1550 ed il 1575.
Le iniziative sono promosse dal Comune di Milano e dai Municipi di zona, coordinate da Palazzo Reale, e realizzata insieme alla Pinacoteca del Castello Sforzesco con l’organizzazione di Civita.
ORARI
Tutti i giorni dalle ore 9.30 alle ore 20.00 (ultimo ingresso alle ore 19.30) Giovedì dalle ore 9.30 alle ore 22.30 (ultimo ingresso alle ore 22.00) Chiusure anticipate – aperture posticipate Venerdì 3 dicembre dalle ore 14.00 alle ore 20.00 7 dicembre chiusura ore 12.00 (ultimo ingresso alle ore 11.30) 24 e 31 dicembre 2021 chiusura ore 18.00 (ultimo ingresso alle ore 17.30) Festività 8, 25 e 26 dicembre, 1 e 6 gennaio aperti dalle ore 9.30 alle ore 20.00 (ultimo ingresso alle ore 19.30)
INFO
www.comune.milano.it serviziculturali@civita.art