Pirelli HangarBicocca presenta dal 15 ottobre 2020 al 21 febbraio 2021 “Short-circuits”, a cura di Vicente Todolí, la retrospettiva dedicata a Chen Zhen, una delle figure principali del panorama artistico contemporaneo. Celebrato dai più importanti musei del mondo, l’artista ha saputo superare il divario tra l’espressività orientale e quella occidentale, attraverso opere di grande potenza visiva che anticipano la complessità socio-politica del mondo di oggi, analizzando temi come la globalizzazione, il consumismo e il loro rapporto con la tradizione.
Oltre venti installazioni su larga scala realizzate dall’artista negli ultimi dieci anni della sua carriera, fino al 2000, presentate grazie a numerosi prestiti provenienti da prestigiose istituzioni e collezioni italiane e internazionali.
Un percorso attraverso opere estremamente rilevanti dell’artista, capaci di rappresentare l’interdipendenza tra materiale e spirituale e di mantenere aperta la riflessione sull’azione curativa e purificatoria dell’arte e sui processi metaforici di malattia e guarigione.
L’artista
Chen Zhen (1955, Shanghai – 2000, Parigi) sviluppa la sua pratica artistica a partire dalla fine degli anni Settanta. Nato e cresciuto a Shanghai, in Cina, attraversa la Rivoluzione Culturale nella sua adolescenza, nel 1986 si trasferisce a Parigi, dove morirà nell’anno 2000. Inizialmente orientato verso la pittura, l’artista si avvicina progressivamente alla realizzazione di installazioni (la prima datata 1989, dopo l’arrivo a Parigi), accostando oggetti della vita quotidiana come letti, sedie, tavoli, assemblati in composizioni che spostano questi elementi dalla loro funzione originaria per consegnarli ad una dimensione metaforica. La produzione di Chen Zhen riflette in maniera paradigmatica il suo desiderio di trovare una sintesi visiva, che integri le caratteristiche estetiche del suo Paese di origine con quelle dei luoghi con cui entra in contatto, in uno scambio fluido e costante tra pensiero orientale e quello occidentale. In questo senso, diventa centrale il concetto di transesperienze: termine, coniato dall’artista stesso, che “sintetizza in modo efficace e profondo le diverse esperienze vissute quando si lascia la terra dove si è nati e ci si sposta da un luogo all’altro” [Transesperienze. Una conversazione tra Chen Zhen e Zu Xian, in Chen Zhen Un artista fra Oriente e Occidente, a cura di J.-H. Martin, Gli Ori, Prato-Siena, 2003].
Le vicende personali segnano ulteriormente l’evoluzione artistica di Chen Zhen: a 25 anni, infatti, gli viene diagnosticata una forma di anemia emolitica. Una circostanza che influisce sulla sua percezione del valore del tempo e dello spazio e che lo porta a riflettere sulla tema della malattia. Nelle opere dell’artista – cresciuto in una famiglia di medici – emerge, così, una nuova sensibilità verso il corpo umano e sugli elementi che lo compongono, come si riscontra nelle parole stesse di Chen Zhen: “come artista, il mio sogno è di diventare un medico. Fare arte ha a che fare con il guardare se stessi, esaminare se stessi e come si vede il mondo” [Becoming a Doctor, a Life Project, in Invocation of Washing Fire, Gli Ori Editore, Prato-Siena, 2003, pag. 335-338]. Apre così a una riflessione sull’azione curativa e purificatoria dell’arte e sui processi metaforici di malattia e guarigione. I lavori dell’artista iniziano a rappresentare la complessa e a tratti paradossale interdipendenza tra materiale e spirituale, collettivo e individuale, interiorità ed esteriorità.
La mostra
“Short-circuits” [cortocircuiti], a cura di Vicente Todolí, è concepita come un’esplorazione immersiva nella complessa ricerca artistica di Chen Zhen, riunendo per la prima volta nei 5.500 mq delle Navate e del Cubo di Pirelli HangarBicocca, alcuni dei suoi lavori più significativi, realizzati tra il 1991 e il 2000.
Il titolo dell’esposizione prende spunto dal metodo creativo sviluppato dall’artista, definito il “fenomeno del cortocircuito”: lo svelamento del significato recondito dell’opera d’arte nel momento in cui viene spostata dal contesto originale per cui era stata concepita in un luogo diverso. Un processo che conduce Chen Zhen a riflettere sul concetto di contaminazione simbolica e culturale come modalità di creazione artistica. La concezione della mostra riflette questa pratica, creando accostamenti inediti tra le opere esposte e mettendo in luce i numerosi rimandi e le connessioni presenti nel lavoro dell’artista in aperto dialogo con diversi temi: la globalizzazione e il consumismo, il superamento dell’egemonia dei valori occidentali e l’incontro tra differenti culture.
Il percorso espositivo si articola così a partire da uno dei lavori più rilevanti di Chen Zhen Jue Chang, Dancing Body – Drumming Mind (The Last Song), (2000), una monumentale installazione composta da numerose sedie e letti provenienti da diverse parti del mondo e ricoperti di pelli di vacca. L’opera è tra le poche ad avere una connotazione performativa e, in determinate occasioni, può essere attivata da danzatori attraverso i movimenti del corpo come strumento meditativo e dalle percussioni che richiamano il massaggio della medicina tradizionale cinese. L’installazione allude a temi legati alla cura del corpo e dello spirito, centrali nelle ricerche di Chen Zhen. L’eterogeneità degli elementi provenienti da contesti diversi caratterizza anche Round Table (1995), opera creata per Il Palazzo delle Nazioni Unite a Ginevra. In questo caso 29 sedie sono fissate nella superficie di un tavolo rotondo: oggetti quotidiani che da una parte diventano simbolo delle azioni del potere e dei dibattiti politici internazionali, dall’altra rappresentano un invito all’unità e all’armonia, un’occasione di incontro e di festa.
La trasformazione della Cina in una società consumistica e capitalista è un altro tema centrale al lavoro di Chen Zhen, ed è ben rappresentato nell’installazione Fu Dao / Fu Dao, Upside-down Buddah / Arrival at Good Fortune (1997). Il titolo si basa sugli ideogrammi cinesi che indicano “buona fortuna”/”arrivo della fortuna”, un’indicazione che solitamente viene appesa alla rovescia nei luoghi pubblici e che è omofona dell’espressione “Budda capovolto”. Chen Zhen approfondisce le riflessioni sull’uomo, la natura e la società, che è vista sempre più lontana dallo spirito del Buddismo. L’opera si compone di oggetti trovati – come televisori, ventilatori, componenti della carrozzeria di un’automobile – e di statuette del Budda capovolte, sospesi su una struttura, la cui sommità è rivestita di rami di bambù. Chen riflette sui cortocircuiti prodotti dalla rapida proliferazione dei beni di consumo di massa sulla società del suo Paese di origine. Il rapporto con la Cina e la sua modernizzazione sono alla base anche di Daily Incantations (1996), realizzata in seguito a un viaggio nella sua città d’origine, dopo diversi anni trascorsi in Occidente, e di Prayer Wheel – Money Makes the Mare Go (Chinese Slang) (1997). La prima installazione è costituita da 101 orinali disposti a semicerchio e fissati ad un imponente impianto in legno a ricordare un antico strumento musicale, ispirata dall’osservazione dell’artista di alcune donne intente di mattina a lavare dei vasi da notte vicino a un prestigioso hotel di Shanghai. Questa immagine gli riporta alla mente i riti quotidiani della sua infanzia: il lavaggio fisico dei vasi da notte e quello mentale della lettura del libro rosso di Mao. La seconda è concepita come un ambiente immersivo al cui interno è collocata una ruota di preghiera, ispirata dal suo viaggio in Tibet, compiuto prima di trasferirsi a Parigi, e rivestita da antichi abachi cinesi e calcolatrici. Significativa per comprendere l’influenza che questo spostamento geografico ha generato è Le Rite suspendu / mouillé del 1991, che segna l’abbandono della pittura e il passaggio dell’artista verso una maggiore consapevolezza del carattere installativo della sua pratica. Come affermato da Chen Zhen, l’opera rappresenta un autoritratto, un’autocritica e una autoriflessione. Significativa per la relazione tra elemento naturale e manufatto industriale, altro rapporto centrale nella pratica dell’artista, è invece Éruption future, realizzata nel 1992 e presentata in Pirelli HangarBicocca per la prima volta da allora.
La mostra, infine, presenta anche i lavori che indagano i concetti di malattia e guarigione, fisica e spirituale. In Purification Room (2000), ad esempio, l’artista si interroga sulla possibilità di purificazione dell’uomo e più in generale del mondo. Il visitatore è accolto in un ambiente domestico monocromatico e dall’aspetto apocalittico: i mobili, gli oggetti e le pareti che lo compongono sono, infatti, coperti da uno strato di argilla, che da un lato sembra annullare ogni spinta vitale e di crescita, ma che dall’altro evidenzia gli elementi più essenziali e intimi della vita stessa, innescando una riflessione sul suo significato e sul concetto di destino. Uno stimolo a liberarsi dalle caratteristiche più triviali dell’esistenza per raggiungere uno stato di maggiore consapevolezza della propria spiritualità e del proprio corpo e per recuperare l’equilibrio con la natura e la società contemporaea. Ed è con questo invito alla catarsi che si chiude “Short-circuits” nello spazio del Cubo con l’opera Jardin-Lavoir (2000): formata da 11 letti, trasformati in vasche di acqua, ciascuno dei quali ospita oggetti quotidiani, come vestiti, scarpe, componenti elettroniche e libri, ed è sormontato da un sistema idraulico da cui sgorgano ininterrottamente flussi di acqua. Per l’artista questa installazione evoca un “giardino di purificazione” in cui meditare e raccogliersi.